Blind Hug, Stories

Parte diciannovesima

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La profonda ferita che il ragazzo ha ricevuto lo ha portato ad essere internato in ospedale per una manciata di giorni a necessità di accertamenti, per questo la mattina successiva trasferito nel reparto di medicina acuta, in una stanza a tre letti la cui finestra si apre sul panorama frastagliato della città.
Una cosa ben osservata da Glisia risulta che Reld è completamente solo, letteralmente.
Il suo cellulare ha memorizzato non più di una decina di contatti, lei e sua figlia inclusi.
Le uniche visite che riceve sono da parte di lei e di Theva.
Si meraviglia nella sua più profonda sincerità di come riesca ad andare avanti.
Lo capisce con la meraviglia più stupefatta e bambina che abbia mai provato, vedendo Theva proteggere il ragazzo come fosse la sua stessa anima.
Ecco come riesce ad avanzare nella vita.
Per lui basta Theva. Lei è tutto il suo mondo.
In quei pochi giorni, lui riceve vestiti, un deodorante e un set che gli permetta, durante le spole al bagno, di curarsi la pulizia in maniera decente. Non ha mai smesso di ringraziare le due per il supporto dato.
Potrebbe essere per Theva un compagno che per lei stessa, il suo marito codardo e infantile non è mai stato.

Durante un pomeriggio oscurato da grosse nuvole, Glisia viene chiamata dall’investigatore. Gli comunica che il ragazzino che ha minacciato Reld è un membro della banda Tejameen* tipicamente conosciuta per furti di poco conto. Secondo precedenti documenti della polizia, questa banda non ha mai avuto a che fare con azioni in stile hitman, che prevedano un determinato obbiettivo. Cosa capitava, capitava.
Eppure Reld non era stato semplicemente sfortunato.
Era stato sotto mira con un’avanzata premeditazione. Un piano legato al processo che viene citata nella registrazione del telefono cellulare.
– Il processo del figlio di Safìr, Leròn. Leròn, dunque, ha deciso di assoldare qualcuno a caramelle per minacciare Reld di non venire, proprio perché da fastidio a quel ragazzo –
– E tu credi che uno già implicato in un processo vuole rovinarsi la pagella giuridica premeditando minaccia e ferimento grave? -, l’investigatore alza un sopracciglio, mentre gira la penna fra tre dita per stemperare la pressione nel leggere la magra risma di fogli.
Nemmeno sei pagine piene di relazioni giuridiche.
– Voglio dire… -, continua l’uomo, in visibile astinenza da caffellatte da stamattina, – …va bene che conclusioni adesso significa una manna dal cielo, Glisia, ma non voglio afferrare l’aria nel tentativo di soffocarla –
Glisia si risistema sulla sedia, sentendosi chiamare per il proprio nome, – E’ l’unica cosa logica che mi viene –
– E potrebbe essere g i u s t a -, il tipo in cravatta enfatizza quest’ultima parola, – Non si esclude, ma qui le stampe parlano chiaro: Reld è intonso, Leròn a malapena “starnazza come un oca in calore”, escludendo l’ultimo schifoso episodio verso sua figlia… Aspetta un attimo –
L’uomo si scorre una mano sulla propria faccia e poi apre il canale dell’interfono sulla scrivania.
– Mi dica –, una voce maschile risponde alla pressione del tasto.
– Rastrellami chi ha scritto questo rapporto. “Starnazza come un’oca in calore” solo se deve pubblicare un romanzo a luci rosse –
– Provvedo –
La piccola parentesi è chiusa da un gesto enfatico diretto verso la donna.
– Per ora vediamo come va con la banda. Anche io voglio passare liscio come l’olio, sopratutto perché lei essendo già in un processo come tutrice di sua figlia, non può per legge confrontarne un altro –
– Grazie –
L’uomo la guida verso l’uscita e una volta da solo si sfrega le mani, finalmente può farsi un caffè. Può solo sperare di concludere il caso con verità. Le deve a Glisia una lunga serie di ringraziate situazioni.

I medici rimettono in piedi Reld e già al suo terzo giorno, l’ospedale ha la premura di mandarlo a casa dopo che la piaga da segni di cicatrizzazione pulita. In suo onore, Theva ha l’idea di nutrirlo a dovere a casa propria.
– Ci sarai, vero? -, fa lei con gli occhi lucidi.
– Considerando che ho richiesto una settimana di libero dal lavoro, si -, Reld chiude gli occhi mentre lascia tutta la tensione scivolargli addosso. La panchina dell’auto di Glisia è enorme, senza il fiore accanto a lui. La ragazza è davanti, ad assistere come uno spettatore senza vista al viaggio guidato dalla madre. Vedere è un conto, ma osservare, anche nella buia cecità, è un altro.
E il fiore leggiadro sa osservare con lucida sensibilità.
– Riccio… Sei impaurito -, lei spalanca gli occhi, si sospende in un’espressione tenebrosa e preoccupata.
– Si, ho paura. Ho paura che perda me stesso perché dietro all’angolo ci sta qualche tipetto con una lama. Ho paura di perdere te, per quello che mi è stato detto. Ho paura di non essere quella persona che ho promesso di essere –
Glisia si schiarisce la gola, – Non promettere a te stesso di essere te stesso, è come sforzarsi di sforzarsi. Sii te stesso come puoi. Poi le tue paure sono infondate, perché ci sono io. Se la diplomazia non funziona, un pugno è un’ottima aggiunta –
– Mamma! -, Theva si stringe nelle proprie spalle. Reld affoga in una risata nascosta.
La donna, col pugno fieramente stretto, fra scrocchiare le dita.
– Così quando vi divertite la notte al massimo ci sarò io a sbirciarvi -, il sorriso è sfoderato con fare teatrale. I due giovani, a quelle parole, esplodono di rossore.
Arrivano a casa in poco tempo e dopo un’altra mezz’ora il cibo è pronto. Il pasto è quasi una religione nell’area mediterranea e Glisia prepara una carbonara, un’insalata ellenica e non esita a mettere condimenti piccanti tipici del Meridione.
Reld, provando la ‘nduja, per poco non gli viene una sincope e si ritrova, bruciante in volto, a correre in bagno a tentare di spegnersi guance e gola. Theva lo raggiunge e lo aiuta a rimettersi in sesto, cosa che prende diversi minuti.
– Preferisco quando sei caldo in un altro modo -, mormora lei, assicurandogli un bacio sulla guancia. Lui si chiude in un broncio e poggia le labbra fra i suoi capelli.
– Ci sarai con me? -, chiede lei a bassa voce.
– Sempre -, conclude lui, con sincera semplicità.
– Bene, perché sono felice che abbia preso tu la mia purezza -, lei aumenta di un dito la distanza fra la sua fronte e il collo di Reld. Stringe il monile regalatole dal ragazzo.
Una piuma argentata.
L’amore fa volare senza bisogno di ali.
– Me la prometti una cosa? -, domanda lei infantilmente.
– Si, la prometto -, lui non attende la promessa. La manterrà, la promessa di Theva.
– Non permettere a nessuno di farci del male. Se non siamo noi, come possiamo essere tu e io assieme? –
– Con determinazione -, Reld ammette la risposta d’istinto, senza pensarci.
– Con determinazione -, accompagna lei, sorridendo, – Andiamo, o mia madre penserà che lo facciamo in bagno –

*In lingua Nauhatl, tejameen significa noi come “io e tu e loro”.

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